Malattia di Alzheimer, Malattie e nutrizione
Un recente studio condotto dagli specialisti della University of Michigan avrebbe evidenziato un forte calo nei casi di demenza senile (la cui forma più comune è rappresentata dalla malattia di Alzheimer) tra la popolazione statunitense. A finire sotto esame è stato un campione di oltre 21.000 persone di età superiore ai 65 anni, in cui casi di demenza senile sono risultati essere inferiori all’11,6% rispetto al 2000 e all’8,8% rispetto al 2012.
Il trend, inoltre, non sarebbe una prerogativa esclusiva degli Stati Uniti: anche in Spagna e in Gran Bretagna si sarebbero infatti riscontrati dati molto confortanti. Tra le spiegazioni del fenomeno vi sarebbe sicuramente la salute fisica. Infatti, sebbene importanti patologie come obesità, diabete e ipertensione siano in crescita tra la popolazione statunitense, è possibile comunque parlare di un miglioramento delle condizioni generali di salute, grazie soprattutto a un più facile accesso a cure e vaccini.
Notevole importanza sarebbe anche da attribuire al grado d’istruzione: la media degli anni trascorsi allo studio, infatti, sarebbe divenuta difatti più elevata tra la popolazione statunitense, dato messo in relazione con l’incidenza della demenza senile.
Secondo il Professor Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, non v’è dubbio che i dati siano positivi, anche se occorre mitigare i facili entusiasmi e soprattutto non giungere a conclusioni che non trovino ancora alcuna conferma da parte della medicina ufficiale.
Sicuramente la cura del corpo e della mente può influire in modo positivo, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare che la demenza senile rappresenta ancora oggi una condizione non chiara, e sulla quale non ci si può ancora del tutto sbilanciare.
Una recente scoperta, infatti, ha dimostrato in modo inequivocabile come i fattori che influiscono sull’insorgere della demenza senile siano ancora oscuri: una ricerca della Northwestern University dell’Illinois ha effettuato delle autopsie sui cadaveri di persone ultranovantenni le quali avevano mantenuto fino alla loro morte un’ottima capacità cognitiva, paragonabile a quella di un cinquantenne. Nei soggetti in esame è stata rilevata una massiccia presenza di proteina beta-amiloide, elemento considerato indicativo del morbo di Alzheimer, tuttavia la loro effettiva condizione cognitiva ha smentito l’eventualità che la presenza di questa proteina sia l’unico aspetto che può implicare l’insorgere del morbo.
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